Una recensione del libro di Mauro Varotto (Einaudi, 2020)

L’opera di Varotto riesce a superare lo stereotipo della montagna intesa come limen e spazio di conquista da parte di cittadini irrequieti, per risemantizzarla entro un discorso sul paesaggio di cui è nel contempo sia prodotto che elemento fondativo.

I nomi, che si diedero alle cose, ci permettono di parlare delle cose stesse.

Tra queste “cose da nominare” c’era una dimensione geografica che ancora rimaneva priva di identificabilità: la montagna di mezzo finalmente descritta da Mauro Varotto.

La montagna di mezzo è sempre stata lì. É la zona che da nord abbraccia casa mia e di cui ho iniziato a salire i versanti, a guardarmi intorno e a fare alcune considerazioni su cosa volgia dire montagna. Ci sono passato atraverso mille e mille volte, su di lei ho lavorato e lavoro, ma non chiamandola in nessun modo, se non riferendomi ad altro, non la potevo osservarla bene. Nei miei pensieri è stata, di volta in volta, le prealpi, la pedemontana, quei primi rilievi e colline che si staccano dalla pianura. Adesso è montagna di mezzo.

A lei associo tre parole: storia, conflitto e responsabilità.

Storia, perché dallo studio di come l’essere umano si è relazionato ai rilievi si possono capire le stagioni della cultura umana in rapporto all’ambiente, passando ovviamente per le due guerre mondiali che hanno avuto, per noi della Penisola, una dimensione particolarmente montana.

Conflitto, perché qualsiasi azione si compia in altura ha delle conseguenze in tutto l’ecosistema. La montagna, a causa soprattutto la sua “riscoperta recente” da parte del turismo di massa accortosi che la montagna esiste anche d’estate, è inoltre al centro dell’irrisolta dicotomia tra centro e periferia che da sempre esacerba gli animi, distinguendo tra vari “noi” e moltissimi “loro”.

Responsabilità,che un po’ è la somma delle altre due. Proprio perché non è casa tua, porta rispetto. Proprio perché se non stai attento muori, porta rispetto. Proprio perché è di tutti, e con di tutti mi riferisco all’istanza degli usi civici, si deve portare rispetto.

Mi sembra che in Montagne di mezzo il prof. Varotto tocchi tutte e tre queste istanze e attraverso citazioni di testi, documentari e ricerche permetta al lettore di farle proprie. Il libro, con grande chiarezza analitica, restituisce la complessità storica, antropologica e economica che sta dietro la parola montagne.

Il prof. Varotto accompagna il lettore per mano attraverso la storia del popolamento montano, dialogando con lui in un lessico puntuale e specialistico, proprio anche della geologia e della sociologia. non si risparmia gli argomenti più ostici per il pubblico generalista come l’invenzione della tradizione legata alla produzione alimentare d’altura, l’idea che le zone di tutela totale non siano necessariamente un approccio efficace, la conclusione che c’è una montagna che vince e una montagna che perde.

Parte da lontano per arrivare molto vicino, al concreto, a quegli esempi di popolamento e spopolamento che, per quel che mi riguarda, ho comunque difficoltà a definire tendenza o controtendenza di oggi. Che si parli di Alpi o di Appennini la montagna di mezzo è lì, dove le cose sono successe nel silenzio dello spopolamento e dove stanno ancora succedendo, stavolta in maniera molto meno silenziosa, nei fenomeni di ripopolamento in atto.

Perché la montagna non è panorama, ma paesaggio.